Non avrei mai voluto scrivere questo intervento, ma penso che sia necessario e doveroso un commento da parte di chi ha la responsabilità, anche penale, di ciò che viene pubblicato sulle pagine di teatro.org.
L’antefatto. Lunedì 15 giugno il nostro redattore Claudio Finelli viene assegnato allo spettacolo Gramsci a Turi, uno dei lavori presentati al Teatro Festival Italia che si sta svolgendo a Napoli. Finelli pubblica la sua recensione, valutando insoddisfacente e leziosa la messa in scena del buon testo di Antonio Tarantino. La protagonista Melania Giglio e il regista Daniele Salvo scrivono a margine della recensione aggredendo Finelli per le sue opinioni, dandogli tra l’altro del «miserabile», «critico occasionale», pieno di «incomprensibile livore e frustrazioni». Quando il caporedattore Edgardo Bellini interviene a ribadire il diritto di critica, la Giglio apostrofa lui e Finelli due «amichetti». Sembra una storia incredibile, ma è tutta documentata in questa pagina:
https://www.teatro.org/rubriche/news/speciale_teatrofestivalitalia_gramsci_a_turi_tra_onanismi_ronconiani_18947
Sono quattro anni che dirigo teatro.org, su cui scrivo da sei, ed è la prima volta che mi capita di assistere ad una simile diatriba che non esito a definire sterile e patetica.
Non ho visto personalmente Gramsci a Turi, quindi non entro del merito artistico dello spettacolo − e d’altronde non è questo il punto − ma torno al cuore del problema, quello della legittimità della critica e della legittimazione del critico. Ho letto con attenzione la recensione di Claudio Finelli, uno dei migliori collaboratori del nostro giornale per cultura, acume intellettuale e capacità espressiva, e non riesco a percepire alcuna forma di offesa in un giudizio che, seppure a buon diritto severo, si limita a stroncare − analizzando con metodo razionale − uno spettacolo teatrale; e non certo ad insultarne i protagonisti.
Trovo semmai offensivi i toni e il linguaggio con cui, contravvenendo ad una delle elementari regole deontologiche di un artista, i signori Salvo e Giglio hanno reagito a tale giudizio: «mandante», «miserabile», «amichetti», «servilismo», «clientelismo», termini oggettivamente ingiuriosi e volgari − probabilmente sufficienti a giustificare una querela − mentre indubbiamente, lo ripeto, non si ravvisa alcuna ingiuria od oltraggio nella lucida e accurata recensione di Finelli. Il termine «onanismo» è stato deprecato come offensivo dalla signora Giglio, che probabilmente non si è spinta a verificarne l’ovvio significato metaforico sul vocabolario: «Velleitario, morboso autocompiacimento» (Zingarelli), «Narcisismo, autocompiacimento morboso» (De Mauro). Eppure non era difficile arrivarci.
Il signor Salvo insiste a definire teatro.org un semplice “sito internet”, ignorando − o fingendo d’ignorare − che si tratta di una testata giornalistica a tutti gli effetti, registrata presso il Tribunale e al Roc. Quanto alla provocatoria richiesta di curriculum, mi sembra che si muova su un livello troppo basso per essere affrontata frontalmente; quando noi andiamo a teatro a spendere il nostro tempo professionale non chiediamo a nessuno di esibire il curriculum, ma sviluppiamo il nostro giudizio in base alla prestazione che ci viene proposta, giammai sulla base della presunta autorità dei soggetti. Mi sembra che questo sia l’unico modo possibile per esercitare l’onestà intellettuale: le opere, come le recensioni, si valutano per la portata delle idee e dei valori che esprimono, non col criterio paludato e burocratico dei “curricula”. Se i signori Giglio e Salvo reputano insufficiente il nostro redattore Finelli, davvero non si comprende come mai si siano tanto elettrizzati a fronte della sua stroncatura. Personalmente stimo molto Franco Quadri e i colleghi De Stefano e Battisti; ma stimo nondimeno Claudio Finelli, mio eccellente collaboratore, e intendo tutelarne l’indipendenza e la libertà di pensiero e di espressione. Ravvisare il “dolo” nel giudizio critico altrui ricorda modalità scomposte di reazione al giudizio tipiche di certa bagarre politica dalla quale noi − come anche Gramsci a suo tempo − ci dissociamo con disprezzo.
Lo spettacolo Gramsci a Turi ha raccolto dichiarazioni di consenso dai critici citati della carta stampata; ma ha anche ricevuto altrettanto dissenso, e mi piace citare il collega Marco Boccia della testata Il Brigante, altra pubblicazione indipendente, che ha stroncato il lavoro con risolutezza anche maggiore di Finelli.
Con i suoi 160.000 contatti mensili medi teatro.org è la pubblicazione di teatro più letta d’Italia, sceglie con attenzione i suoi collaboratori, e soprattutto è una pubblicazione indipendente, che definisce la sua linea editoriale soltanto in base ad esigenze di libertà intellettuale. Ipotizzare un “mandante” delle stroncature ci sembra una reazione intellettualmente poco robusta. Il vocabolo “mandante” è di moda in questi giorni persino sulla scena politica, per respingere in modo rapido e inappellabile il dissenso e l’imbarazzo. Crediamo che anche questa modalità sia in pieno conflitto con la lezione di Gramsci.
Prendiamo dunque spunto da questa inattesa diatriba per riflettere su un aspetto del mondo del teatro che sfuggirebbe ad un osservatore troppo idealista ed ingenuo. Una volta il teatro era il luogo dell’utopia, dove chiunque entrava in punta dei piedi pronto ad un faticoso percorso dagli esiti sempre incerti; oggi evidentemente − anche sotto l’effetto dei facili successi sponsorizzati dai reality televisivi − misurarsi con l’insuccesso e col dissenso diventa per alcuni troppo arduo e impegnativo. Anche a teatro.
Abbiamo imparato qualcosa. Prima di mettere un punto a questo scambio di vedute educativo e un po’ malinconico vorrei offrire ai signori Giglio e Salvo un principio di libertà: continuate senz’altro a leggere le critiche e le recensioni che di volta in volta vi piaceranno, nella libertà d’ignorare le nostre; e noi continueremo a seguire gli spettacoli che ci piaceranno, nella libertà d’ignorare i vostri.
Teatro